30 novembre 2009

"Figlio mio, lascia questo Paese"

di PIER LUIGI CELLI

Figlio mio, stai per finire la tua Università; sei stato bravo. Non ho rimproveri da farti. Finisci in tempo e bene: molto più di quello che tua madre e io ci aspettassimo. È per questo che ti parlo con amarezza, pensando a quello che ora ti aspetta. Questo Paese, il tuo Paese, non è più un posto in cui sia possibile stare con orgoglio.

Puoi solo immaginare la sofferenza con cui ti dico queste cose e la preoccupazione per un futuro che finirà con lo spezzare le dolci consuetudini del nostro vivere uniti, come è avvenuto per tutti questi lunghi anni. Ma non posso, onestamente, nascondere quello che ho lungamente meditato. Ti conosco abbastanza per sapere quanto sia forte il tuo senso di giustizia, la voglia di arrivare ai risultati, il sentimento degli amici da tenere insieme, buoni e meno buoni che siano. E, ancora, l'idea che lo studio duro sia la sola strada per renderti credibile e affidabile nel lavoro che incontrerai.
Ecco, guardati attorno. Quello che puoi vedere è che tutto questo ha sempre meno valore in una Società divisa, rissosa, fortemente individualista, pronta a svendere i minimi valori di solidarietà e di onestà, in cambio di un riconoscimento degli interessi personali, di prebende discutibili; di carriere feroci fatte su meriti inesistenti. A meno che non sia un merito l'affiliazione, politica, di clan, familistica: poco fa la differenza.

Questo è un Paese in cui, se ti va bene, comincerai guadagnando un decimo di un portaborse qualunque; un centesimo di una velina o di un tronista; forse poco più di un millesimo di un grande manager che ha all'attivo disavventure e fallimenti che non pagherà mai. E' anche un Paese in cui, per viaggiare, devi augurarti che l'Alitalia non si metta in testa di fare l'azienda seria chiedendo ai suoi dipendenti il rispetto dell'orario, perché allora ti potrebbe capitare di vederti annullare ogni volo per giorni interi, passando il tuo tempo in attesa di una informazione (o di una scusa) che non arriverà. E d'altra parte, come potrebbe essere diversamente, se questo è l'unico Paese in cui una compagnia aerea di Stato, tecnicamente fallita per non aver saputo stare sul mercato, è stata privatizzata regalandole il Monopolio, e così costringendo i suoi vertici alla paralisi di fronte a dipendenti che non crederanno mai più di essere a rischio.

Credimi, se ti guardi intorno e se giri un po', non troverai molte ragioni per rincuorarti. Incapperai nei destini gloriosi di chi, avendo fatto magari il taxista, si vede premiato - per ragioni intuibili - con un Consiglio di Amministrazione, o non sapendo nulla di elettricità, gas ed energie varie, accede imperterrito al vertice di una Multiutility. Non varrà nulla avere la fedina immacolata, se ci sono ragioni sufficienti che lavorano su altri terreni, in grado di spingerti a incarichi delicati, magari critici per i destini industriali del Paese. Questo è un Paese in cui nessuno sembra destinato a pagare per gli errori fatti; figurarsi se si vorrà tirare indietro pensando che non gli tocchi un posto superiore, una volta officiato, per raccomandazione, a qualsiasi incarico. Potrei continuare all'infinito, annoiandoti e deprimendomi.

Per questo, col cuore che soffre più che mai, il mio consiglio è che tu, finiti i tuoi studi, prenda la strada dell'estero. Scegli di andare dove ha ancora un valore la lealtà, il rispetto, il riconoscimento del merito e dei risultati. Probabilmente non sarà tutto oro, questo no. Capiterà anche che, spesso, ti prenderà la nostalgia del tuo Paese e, mi auguro, anche dei tuoi vecchi. E tu cercherai di venirci a patti, per fare quello per cui ti sei preparato per anni.

Dammi retta, questo è un Paese che non ti merita. Avremmo voluto che fosse diverso e abbiamo fallito. Anche noi. Tu hai diritto di vivere diversamente, senza chiederti, ad esempio, se quello che dici o scrivi può disturbare qualcuno di questi mediocri che contano, col rischio di essere messo nel mirino, magari subdolamente, e trovarti emarginato senza capire perché.

"Figlio mio, lascia questo Paese"

Adesso che ti ho detto quanto avrei voluto evitare con tutte le mie forze, io lo so, lo prevedo, quello che vorresti rispondermi. Ti conosco e ti voglio bene anche per questo. Mi dirai che è tutto vero, che le cose stanno proprio così, che anche a te fanno schifo, ma che tu, proprio per questo, non gliela darai vinta. Tutto qui. E non so, credimi, se preoccuparmi di più per questa tua ostinazione, o rallegrarmi per aver trovato il modo di non deludermi, assecondando le mie amarezze.

Preparati comunque a soffrire.

Con affetto,
tuo padre

L'autore è stato direttore generale della Rai. Attualmente è direttore generale della Libera Università internazionale degli studi sociali, Luiss Guido Carli.

29 novembre 2009

Asma da smog

MILANO - Gli effetti, nei pronto soc­corso, si vedono subito. I me­dici se ne accorgono tra il se­condo e il quinto giorno dopo che nell’aria salgono le con­centrazioni di biossido di azo­to, un gas molto inquinante che si produce soprattutto in estate. In quei giorni i ricove­ri dei bambini per asma au­mentano dell’8,8 per cento. Tradotto in numeri: su 240 bambini milanesi che entra­no in ospedale d’urgenza per crisi asmatiche gravi, 18 non si sentirebbero male se in cit­tà si rispettassero i limiti per il biossido d’azoto. L’analisi è contenuta nella pubblicazione conclusiva del «Progetto EpiAir», lo studio più aggiornato sugli effetti dell’inquinamento atmosferi­co sulla salute in 10 città italia­ne. Non è la prima, ma di cer­to la più completa e ricerca su tre inquinanti (polveri sottili, biossido d’azoto e ozono) nel periodo tra 2001 e 2005. Sarà pubblicata come supplemen­to alla rivista «Epidemiologia & Prevenzione».

«Gli effetti più gravi sono quelli che si manifestano in un aumento delle morti — spiega il coordi­natore della ricerca, France­sco Forastiere — Se si consi­derano i decessi per cause na­turali, il solo Pm 10 provoca un aumento del rischio di morte in media dello 0,69 per per ogni incremento di con­centrazione nell’aria di 10 mi­crogrammi per metro cubo». Un principio generale che si può applicare alla situazio­ne milanese, dove le medie annuali di polveri sottili sono stabilmente sopra i 40 micro­grammi rispetto a una soglia che l’Unione europea fissa in 20 come obiettivo da raggiun­gere per il 2015. «Se si applica­no questi parametri a una cit­tà come Milano — spiega Fo­rastiere — dove muoiono in media 10.000 persone l’anno per cause naturali, si scopre che in dodici mesi sono alme­no 140 le morti riconducibili al persistente superamento della soglia di inquinamento. Morti che nella maggioranza dei casi avvengono per cause cardiache e respiratorie». I soggetti più a rischio: anziani e cardiopatici.

Gli epidemiologi hanno cer­cato anche di valutare impat­to e benefici delle misure per ridurre lo smog. Risultato: pur se esistono provvedimen­ti come l’Ecopass, aumenta sempre più il numero delle au­to in circolazione. E poi una critica: «Si rilevano notevoli difficoltà nell’attuazione delle misure e una carenza di con­trolli ». Commenta Luca Car­ra, presidente milanese di Ita­lia Nostra: «Invece di tornare indietro, e dare deroghe, la strada è quella di mettere in campo finalmente misure più incisive». In particolare in questo autunno nero: ieri in città è stata sballata la soglia del Pm10 per il 14esimo gior­no consecutivo.

21 novembre 2009

Il senatore di Corleone

Una straordinaria inchiesta del nostro Marco Lillo comincia a rimettere le cose al loro posto. Renato Schifani, il presidente del Senato, la seconda carica dello Stato, prima di entrare in politica e almeno sino a otto anni fa, aveva tra la clientela del suo studio legale palermitano molti personaggi processati e spesso condannati per fatti di mafia. Non è un reato, ma è un fatto su cui sarebbe utile aprire una riflessione. Schifani, che due boss di Cosa Nostra di alto livello come Nino Mandalà e Simone Castello definivano in una loro celebre conversazione come "il senatore di Corleone" (quello era infatti il suo collegio elettorale), assisteva come civilista mafio-imprenditori nella stesura di contratti, nelle controversie al Tar e, qualche volta, nei rapporti con la pubblica amministrazione. Trovare tracce documentali del suo curriculum non è però semplice.

Il Fatto Quotidiano ha cominciato a lavorarci e le sorprese non sono mancate. Oggi abbiamo pubblicato un primo lungo articolo che ci racconta come Schifani, nelle sue vesti professionali, abbia fatto di tutto per consentire la costruzione di un grande palazzo abusivo edificato con il contributo di molti tra i maggiori capomafia palermitani: dai Bontade, a Pino Guastella, dai Lo Piccolo fino ai Madonia e i Pullarà. La storia di quei nove piani di cemento diventa così esemplare per capire la mafia e l'antimafia.

Anche perché intorno al palazzo, come scrive Lillo, il destino di Schifani s'incrocia con quello di Paolo Borsellino: “Il primo (prima che le procure e i tribunali accertassero le responsabilità del costruttore corruttore e mafioso) ha messo a disposizione la sua scienza per sostenere il torto del più forte. Il secondo, nei giorni più duri della sua vita, ha trovato il tempo per ascoltare le ragioni dei deboli. Quel palazzo è infatti ancora in piedi anche grazie anche ai consigli legali, ai ricorsi e alle richieste di sanatoria dello studio legale Schifani-Pinelli del quale il presidente del senato è stato partner con l'amico Nunzio Pinelli negli anni chiave di questa vicenda, prima di lasciare il posto al figlio Roberto. Mentre Schifani combatteva in Tribunale per Lo Sicco (il costruttore ndr), il giudice Paolo Borsellino trascorreva le ore più preziose della sua vita per ascoltare le signorine Pilliu: due sorelle che tentavano di opporsi allo scempio edilizio”. L'inchiesta di Lillo è dunque una fotografia precisa dell'Italia dei nostri tempi. Purtroppo.


Leggi l'inchiesta di Marco Lillo da Il Fatto Quotidiano del 20 novembre 2009:

Schifani e il palazzo abitato dai Boss

20 novembre 2009

“Io, Montanelli e la battaglia per il suicidio assistito”

di Alessandro Ancarani

Emilio Coveri combatte per una guerra che il suo amico Indro Montanelli definì «impossibile da vincere. Non ce la faremo mai in questo Paese codardo e ipocrita. Ma è una guerra che qualcuno doveva pur cominciare». Coveri, a capo dell’associazione Exit Italia, si batte da anni perché anche nel nostro Paese venga permessa «l’interruzione volontaria della propria sopravvivenza in condizioni fisiche terminali». Questo il titolo del progetto di legge che più volte ha tentato di proporre al nostro Parlamento. Ma la politica sembra ricordarsi del cosiddetto fine vita solo quando si trova di fronte all’Eluana di turno. Salvo poi far ripiombare tutto nel dimenticatoio. «Sono un amico di Beppino Englaro da tanti anni - spiega Coveri - e so quanto è stato costretto a soffrire solo perché mancava un foglio con sopra scritte le volontà della figlia: ho visto la gente sotto la clinica agitare bottigliette d’acqua gridandogli ‘Boia, fai morire tua figlia di sete’. È stata una vergogna.

Beppino aveva invitato Napolitano e Berlusconi a venire di persona per rendersi davvero conto di chi fosse Eluana, nessuno dei due ha accettato». Nel 1997 l’Italia è stata uno dei firmatari della Convenzione di Oviedo che contiene norme fondamentali, come il riconoscimento del testamento biologico, il no all'accanimento terapeutico e la regolamentazione del consenso informato.

Sono trascorsi 11 anni ma nessuno ha mai emanato i decreti attuativi per recepire i nuovi canoni su questioni tanto delicate. Per questo Coveri a combattere la sua guerra sui due versanti delle Alpi: a sud tentando di animare un dibattito sui temi etici narcotizzato ad arte; a nord aiutando tanti italiani a mettersi in contatto con le cliniche svizzere in cui il suicidio assistito è consentito dal 1942. Molti italiani avvertono la necessità di porre fine alla propria vita quando non hanno altre aspettative se non quelle di soffrire inchiodati a un letto. Coveri riceve telefonate quotidianamente da ogni parte d’Italia, circa 40 alla settimana. «A tutti dico un’unica cosa: non dovete perdere tempo. Per compiere il percorso che ha scelto, il malato terminale deve essere lucido e in grado di somministrarsi da solo il farmaco». Se manca una delle due condizioni tutto si blocca, gli svizzeri sono inflessibili. L’iter precedente il suicidio assistito è interamente proteso a far desistere il paziente dalle proprie intenzioni. «Il protocollo svizzero è molto rigido – continua Coveri – Anzitutto una commissione medica ministeriale accerta tramite le cartelle cliniche se esistano le effettive condizioni di malattia terminale. Tanti malati di mente chiedono di poter morire, ma le patologie mentali, anche giudicate incurabili, non vengono comprese».

Una volta avuto il via libera dalla commissione medica, il malato sceglie la data e quindi si reca in clinica. «Il medico per legge deve chiedere reiteratamente di desistere. E non lo fa con formule di circostanza, ma con appelli accorati. Il 30% dei pazienti desiste o decide di rimandare, l’altro 70% invece assume due pillole antiemetiche. Trascorrono altri dieci minuti mentre il medico avverte ancora: se cambi idea adesso sei ancora in tempo, ma dopo che avrai bevuto il medicinale non potrò più fare niente per te». Il pentobarbital viene preparato in un bicchiere e va bevuto. Entro un minuto e mezzo la persona cade in un sonno profondo. Qualche minuto più tardi insorge l’arresto cardiaco. Il suicidio assistito si differenzia dall’eutanasia perché in nessun caso a dare la morte può essere un soggetto diverso da colui che muore: se non si è in grado di bere da soli nessuno può fornire un aiuto, se non incorrendo nelle pene della dura legge svizzera. Dura è anche la legislazione nostrana che, non potendo impedire a chi vuol morire di recarsi in Svizzera, minaccia coloro che accompagnano il parente verso il fine vita. Il rischio è quello di essere accusati di concorso in omicidio volontario una volta rientrati a casa. Coveri guarda all’Italia: “Quella che si sta per approvare è solo una legge anti-Eluana. C’è chi pensa che la vita è sacra, io penso che la vita è mia. Dunque se credo non abbia senso soffrire oltre misura senza nessuna possibilità di guarigione, devo poter porre fine a quella che non è più un’esistenza dignitosa”.

da Il Fatto Quotidiano del 19 novembre 2009

17 novembre 2009

Cosentino: elettricità, politica e camorra

17 novembre 2009
Qualcosa si muove dopo gli articoli de Il Fatto Quotidiano sui rapporti economici tra la società bolognese Hera Spa e la famiglia del sottosegretario Nicola Cosentino. Nel silenzio imbarazzato del Pd e del Pdl, l’Italia dei Valori ha messo il dito sulla piaga dell’accordo trasversale che lega gli interessi della multiutility emiliana controllata da 180 comuni (in gran parte rossi) alla famiglia del politico di destra di Casal di Principe.

Già dopo il primo articolo del 23 ottobre 2009 che rivelava la storia della centrale elettrica di Sparanise in provincia di Caserta, sorta grazie a un accordo trasversale, il 3 novembre i senatori Felice Belisario (capogruppo dell’Idv) ed Elio Lannutti avevano presentato un’interrogazione parlamentare al presidente del Consiglio e ai ministeri dello Sviluppo economico e della Salute per sapere quali iniziative intendesse adottare il Governo.

L’interrogazione ricordava la plusvalenza di 9,3 milioni di euro incassata dalla società SCR grazie alla vendita dei terreni sui quali è sorta la centrale da 800 megawatt contro la quale si opponeva la popolazione locale. I due parlamentari, dopo aver ipotizzato che dietro SCR ci sia la famiglia Cosentino, ricordano che la centrale di Sparanise “emette più di un milione di metri cubi l’ora di gas inquinanti, causa principale delle piogge acide, responsabili di ingenti danni all’ambiente e ai prodotti agricoli”. La società Hera Comm Mediterranea (50% di Hera e 50% della SCR, vicina ai Cosentino tanto che in consiglio siede il fratello dell’onorevole) è diventata più imbarazzante dopo la richiesta di arresto per il sottosegretario.

A Bologna, il capogruppo dell’Idv in provincia, Giuseppe De Biase, ha posto il problema. Anche il capogruppo dell’Idv nel comune di Modena (azionista di Hera) Eugenia Rossi, ha interpellato il Sindaco per sapere se era a conoscenza dell’affaire. E se sia in grado di dire chi sono i padroni della Scr. “Dopo l’interrogazione”, racconta Rossi, “nessun politico né del Pd né del Pdl ha detto una sola parola. Anche i media sono stati in silenzio. E’ un tabù. Ma io non mollo”.

da Il Fatto Quotidiano del 17 novembre 2009

Telefonata a Ballarò...

15 novembre 2009

Il popolo che dice basta

Presidente Napolitano. Presidente Fini. “Adesso basta” è il titolo che abbiamo stampato ieri sulla prima pagina del Fatto Quotidiano. Adesso basta è scritto sulle migliaia di messaggi che giungono al nostro giornale. Tutti indistintamente chiedono di mettere la parola fine allo scandalo che da quindici anni sta sfibrando l’Italia: la produzione incessante di leggi personali per garantire a Silvio Berlusconi la totale immunità e impunità in spregio alla più elementare idea di giustizia.

Quello che rivolgiamo a voi che rappresentate la prima e la terza istituzione della Repubblica (sulla seconda, il presidente del Senato Schifani pensiamo di non poter contare) non è un appello ma una richiesta di ascolto che, siamo certi, non andrà delusa. Tutte quelle lettere, e-mail, fax esprimono una protesta e una speranza. Di protesta “contro l’arroganza di un Potere che sembra aver perso ogni senso della misura e anche quello del decoro ”, scrisse Indro Montanelli sulla Voce nel 1994, all’epoca del decreto Biondi. Fu il primo tentativo di colpo di spugna al quale ne sarebbero seguiti altri diciotto negli anni a seguire fino all’ultima vergogna chiamata “processo breve”. Allora la battaglia fu vinta.

La redazione della Voce fu alluvionata di fax dei lettori disgustati, il decreto fu ritirato e il grande giornalista così rese omaggio allo spirito di lotta dei concittadini: “Fino a quando questo spirito sarà in piedi, indifferente alle seduzioni, alle blandizie e alle minacce, la democrazia in Italia sarà al sicuro ”. Malgrado abbia attraversato tante sconfitte e tante delusioni quello spirito non appare per nulla fiaccato e chiede di trovare una risposta capace di dirci che la politica non è solo interesse personale e disprezzo per gli altri. Che le istituzioni sono davvero un baluardo contro le prepotenze del più forte. Questa è la nostra speranza presidente Napolitano e presidente Fini. Per questo vi trasmetteremo i messaggi dei nostri lettori. Tenetene conto.

Antonio Padellaro da
Il Fatto Quotidiano del 14 novembre 2009

12 novembre 2009

Lo stalliere del Pd



Il Fatto Quotidiano, 10 novembre 2009

Domenica abbiamo domandato in prima pagina al “nuovo” Pd di Bersani se “discuterà della moralità dei candidati”. Il “nuovo” Pd di Bersani ha subito raccolto l’appello. Infatti, nella “nuova” Direzione, fa il suo trionfale ingresso il senatore Nino Papania da Alcamo (Trapani), ex Margherita. Lo stesso a cui hanno appena arrestato l’autista-giardiniere-factotum per mafia. Lo stesso che nel 2002 ha patteggiato a Palermo 2 mesi e 20 giorni di reclusione per abuso d’ufficio: era indagato per aver sistemato in posti pubblici diversi disoccupati privi dei titoli di legge, in un giro di assunzioni facili per cui sindacalisti senza scrupoli prendevano tangenti.

Nel 2008 Dario Franceschini annunciò: “Non presenteremo candidati con procedimenti in corso né con sentenze passate in giudicato”. Strano: Papania fu ricandidato dopo il patteggiamento e rieletto per la terza volta senatore (diversamente da Nando Dalla Chiesa, colpevolmente incensurato). Scelta lungimirante: il 4 novembre la Dda di Palermo ha arrestato il suo braccio destro Filippo Di Maria, considerato l’autista, il cassiere e l’uomo di fiducia del boss di Alcamo, Nicolò Melodia detto “il macellaio”, catturato nel 2007 assieme al capomafia Salvatore Lo Piccolo. Nei giorni pari Di Maria scarrozzava il boss Melodia, in quelli dispari il senatore Papania. Arrotondava. “Emerge - annota la Mobile di Trapani - da numerose conversazioni che Di Maria svolgeva attività di factotum presso la villa di Scopello del predetto Papania, muovendosi incessantemente per procurare posti di lavoro ad amici e conoscenti grazie anche al diretto interessamento di collaboratori e personale di segreteria del senatore”. Ed era attivissimo “in occasione di alcune competizioni elettorali”: come “le primarie 2005 per il candidato premier” e “per il candidato alla presidenza della Regione Sicilia” (contro Rita Borsellino e per Ferdinando Latteri). “Lo staff del sen. Papania - scrive il gip - e altri politici locali contattavano ripetutamente il Di Maria al fine di indurlo a sostenere le iniziative politiche sopra indicate e invitandolo a fare altrettanto con tutte le persone di sua conoscenza”.

Il Giornale gongola: “Anche il Pd ha il suo ‘stalliere’ mafioso”. Ma naturalmente chi fosse Di Maria non lo sapeva nessuno. Infatti la nuova Direzione del Pd non ha trovato un posto per due simboli dell’antimafia come Rosario Crocetta e Beppe Lumia (la Borsellino non è iscritta). Ma a Papania sì, in quota Franceschini. E questa sarebbe l’opposizione. Poi c’è il centrodestra, con i suoi Berlusconi, Dell’Utri e Cosentino. E’ la famosa “alternanza”.

Marco Travaglio

8 novembre 2009

Italiani brava gente? Dipende da chi li informa.

"Caro Beppe, mi caschi a fagiolo. Oggi sono affranto, soffro di mal di stomaco e forse sono anche spaventato, ho appena scambiato delle considerazioni con una signora davanti alla scuola di mio figlio, lei sosteneva, commentando un articolo di giornale, che tutti gli stranieri fossero da rinchiudere, ma la cosa che mi ha fatto più male è nel vedere che subito ha trovato la complicità di un'altra signora. Io mi vergognavo per loro, per le loro sentenze pro pena di morte, non è questo il Paese che voglio, non è questo... Questi non sanno, non pensano, sanno solo giudicare, ma spesso sono tanti intorno a me. Ciao."
Lettera di Emanuel Caruso a Beppe Grillo
Lo psiconano annuncia: "Il peggio è alle spalle, superata Londra" e nessuno lo manda a fanculo. Quello che fa più schifo non è lui, fa il suo mestiere di venditore di spazzole, ma l'informazione di regime. Senza la manipolazione dell'opinione pubblica i politici sarebbero rincorsi con i forconi. Chi fa più ribrezzo sono i cosiddetti giornalisti indipendenti. Con che faccia di merda il Corriere della Sera (ma anche Repubblica e La Stampa) titola in prima pagina: "L'Italia in testa nella ripresa?". Quale ripresa? La ripresa dei licenziamenti, degli sfratti, del debito pubblico che vola verso i 1800 miliardi di euro che sta trascinando nel baratro il Paese? La ripresa del crollo del PIL nel 2009? Basta con i contributi pubblici ai giornali. Li paghiamo per disinformarci. Sono loro le vere puttane del regime.

6 novembre 2009

Fatta l'Italia, bisogna disfare gli italiani.

"Caro Beppe, è da molto tempo che affermo, che il vero problema dell'Italia sono gli Italiani. Una classe politica si spinge fin dove i loro elettori gli permettono di andare.Considerato a che infimi livelli siamo arrivati in questo paese, non si può che dedurre che è ciò che abbiamo voluto. Finchè continueremo ad avere persone che si interessano delle vicende dei vari Corona, Noemi, G.F., audience da capogiro per la De Filippi, che accettano di chiudere un occhio se in cambio si può avere un tornaconto, che accettano la raccomandazione, che sono corrotti nel cuore e nell'animo, che hanno paura, che sono inetti, che sono superficiali e che quando guardano Berlusconi dicono: "Come vorrei essere al suo posto per i soldi, le donne, la bella vita e il lusso", allora poco possiamo sperare per questa nostra Italia. Non siamo mai riusciti ad essere un vero popolo unito e maturo, altruista e lungimirante, guardiamo agli interessi di bottega e ci crogioliamo in un egoismo spaventoso: tanto non mi riguarda, non è capitato a me e sono sicuro che a me non capiterà mai! Voglio lottare profondamente nella mia vita, per essere fiera di averla vissuta e non di essere stata vissuta dalla vita, ma mi chiedo cosa stiamo lasciando ai nostri giovani, futuri uomini del domani? IL NULLA....".

Lettera di Alessandra di Cataldo a Beppe Grillo

5 novembre 2009

Signornò - Marco Travaglio - l'Espresso

Il 28 ottobre, anniversario della marcia su Roma, il governo s’è presentato alla Camera in formazione inedita: al completo. C’era da salvare il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli, imputato a Livorno di favoreggiamento per aver avvertito nel 2004 (quand’era all’Ambiente) il prefetto dell’indagine e delle intercettazioni a suo carico per uno scandalo di abusi edilizi. E puntualmente Matteoli è stato salvato: 375 sì (Pdl, Lega e Udc) e 199 no (Idv e Pd). Motivo: il reato è “ministeriale” e il ministro è un perseguitato. Pazienza se, così votando, la Camera ha violato la legge e la Costituzione. Nel 2007 Montecitorio sollevò conflitto di attribuzioni alla Consulta contro i giudici che osavano processare Matteoli senz’autorizzazione. Autorizzazione peraltro non prevista dalla legge, visto che il Tribunale dei ministri si era già dichiarato incompetente perché il reato non era “ministeriale”. Così, in attesa della Consulta, il processo si fermò. E nel 2008 l’avvocato della Camera bloccò pure la Consulta nel giorno della decisione, preannunciando una ”modifica al quadro normativo vigente”. Quale? Il “lodo Consolo”: un ddl firmato da Giuseppe Consolo, deputato Pdl e avvocato di Matteoli (Ghedini docet), per condizionare tutti i processi ai ministri alla preventiva autorizzazione parlamentare. Il lodo non passò. Ma la Consulta lo anticipò con una strana sentenza (a maggioranza strettissima, col relatore De Siervo che rifiutava di scriverla): i giudici avevano commesso alcune “omissioni”, ma potevano riaprire il processo se le avessero sanate chiedendo l’ok della Camera. Ed ecco l’ultimo colpo di mano in giunta (28 luglio) e poi in aula (28 ottobre): il Pdl nega subito l’autorizzazione a procedere (che nessuno ha potuto chiedere), per il presunto “fumus persecutionis” ai danni del povero Matteoli e per la natura ministeriale del suo reato.

Ma la legge costituzionale 16.1.1989 n.1 parla chiaro: il Parlamento “può negare l'autorizzazione a procedere” solo se il ministro inquisito “ha agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell'esercizio della funzione di governo”. Nessuna delle due ipotesi ricorreva nel caso Matteoli: salvo ammettere che il favoreggiamento rientra nell’”interesse pubblico”. Infatti Matteoli ha dovuto negare di averlo commesso e la Camera s’è associata. Ma spetta al tribunale accertare se il ministro - come dice l’accusa - chiamò il prefetto per avvertirlo delle indagini o - come sostiene lui - per parlare di incendi. E poi: come si fa a dichiarare “ministeriale” un reato che si ritiene inesistente? Si rischia di violare, oltre alla legge, anche la logica. Ma la Camera se n’è infischiata e ha emesso la sua sentenza. Si è sostituita ai giudici. E ha ripristinato per i ministri l’autorizzazione a procedere abolita nel 1993 per i parlamentari. Ciò che non è riuscito a Berlusconi è riuscito a Matteoli. Nulla da dichiarare, presidente Fini?
L’acqua si avvia a diventare una merce. Fra pochi giorni dovrebbe passare alla Camera la legge che assegna ai privati la gestione delle reti idriche.