27 aprile 2010

Schifani fa causa a 'Il Fatto'

27 aprile 2010
Il presidente del Senato chiede 720.000 euro di risarcimento per le inchieste pubblicate dal quotidiano. La direzione risponde: "Le indagini giornalistiche proseguono, noi non ci faremo intimidire".

Il presidente del Senato, Renato Schifani, ci ha notificato ieri una citazione civile con cui domanda 720 mila euro di risarcimento per le inchieste giornalistiche che lo riguardavano da noi pubblicate. La somma richiesta è superiore al nostro capitale sociale, ma noi non ce ne lamentiamo. Schifani, al pari di qualsiasi altro cittadino, se si ritiene diffamato ha il diritto di rivolgersi al Tribunale per veder riconosciute le proprie ragioni. Anche se, dopo aver letto le 54 pagine della citazione, dobbiamo confessare la nostra sorpresa: nonostante gli sforzi non abbiamo ancora capito quali delle notizie riportate su il Fatto Quotidiano non siano vere. A questo punto chi ha ragione e chi ha torto non lo potrà che stabilire il giudice.

Certo, avremmo preferito che il presidente Schifani, proprio per l'importante incarico pubblico da lui ricoperto, avesse risposto alle numerose e-mail contenenti dettagliate richieste di chiarimenti che gli abbiamo inviato prima di scrivere ogni pezzo. E ora ci saremmo aspettati almeno una querela penale che, da una parte, avrebbe consentito al pubblico ministero di svolgere autonomamente indagini sui fatti contenuti negli articoli in maniera più ampia rispetto a quanto si può fare in sede civile. E che, dall'altra, sarebbe potuta sfociare, in caso di un nostro rinvio a giudizio, in un dibattimento pubblico senz'altro interessante per chi vuol conoscere i trascorsi della seconda carica dello Stato.

In passato, quando Schifani era ancora il semplice capogruppo di Forza Italia al Senato, le cose andarono proprio in questo modo. Il nostro Marco Lillo, all'epoca a l'Espresso, pubblicò un'inchiesta sui soci di Schifani poi condannati per fatti di mafia o finiti sotto processo per altri reati. Il pm stabilì che ciò che Lillo aveva raccontato era vero e la querela fu archiviata. Per questo, dopo aver riletto l'atto di citazione, oggi pensiamo che la causa miri più che altro a mettere una spada di Damocle economica sulla testa di un giornale appena nato. Ma se le cose stanno così, i nostri lettori possono stare tranquilli. Già domani dalle colonne de il Fatto Quotidiano spiegheremo dettagliatamente perché, a nostro avviso, la citazione di Schifani non è basata su argomentazioni serie e degne di un presidente del Senato. E nei prossimi giorni racconteremo altre storie inedite sulla vita del senatore, prima e dopo il suo ingresso in politica. Notizie che l'opinione pubblica deve conoscere

23 aprile 2010

Pensiero Pulito:

L'editoria di Stato è fallita, i contributi governativi non bastano più. Per sopravvivere si propone una tassa di navigazione per la Rete. Il Fatto Quotidiano ha dimostrato che si può vivere di soli lettori. Gli altri, se non ci riescono, chiudano e vadano a fanculo.

17 aprile 2010

Fini si deve essere reso conto del gravissimo errore commesso nell’aver accettato di far confluire Alleanza nazionale nel Pdl. Perché dove c’è Berlusconi comanda uno e uno solo. Inoltre Fini è, in fondo, un politico vecchia maniera, con i vizi ma anche i pregi della classe dirigente della cosiddetta Prima Repubblica. Non può accettare le continue, aperte, spudorate violazioni istituzionali del Cavaliere. Il ruolo di presidente della Camera, assolto con grande equilibrio, ha rafforzato questa sua sensibilità per le Istituzioni, le forme, la legge, la legalità, tutte cose di cui il Cavaliere si impipa.

Sono anche convinto che i due non si siano mai amati e che Fini non abbia mai digerito la polemica berlusconiana contro "i politici di professione", "quelli che non hanno mai fatto un solo giorno di lavoro", eccetera. Fini è un D’Alema di destra, di una coerente destra, con cui Berlusconi, che non ha ideologia alcuna se non la glorificazione di se stesso, non ha nulla a che fare. Il Pd dovrebbe appoggiare Fini (come pure Casini), cautamente perché la cosa non si risolva in una sorta di “abbraccio della morte”. La rottura di Gianfranco Fini è estremamente coraggiosa considerando che avviene con un personaggio che è quasi completamente padrone del Paese ed è ai limiti della criminalità. Temo che faccia una brutta fine perché molti degli ex An sono da tempo, anche quando erano ancora in Alleanza nazionale, a libro paga di Berlusconi.
Tempi duri per Gianfranco Fini. Nei prossimi giorni l’ex numero uno di An sarà calunniato, spiato, dossierato. I media del premier, che già in settembre avevano iniziato a sparargli contro, lo descriveranno come un malfattore, un poco di buono, forse un malato di mente, o peggio. Se poi davvero i finiani arriveranno a costituire un gruppo in parlamento, verrà bandita un'asta per convincerli, uno a uno, a desistere. Saranno offerti loro incarichi, prebende, denari. Inutile scandalizzarsi. Le cose, nell’Italia di B, vanno così.

Il Cavaliere, del resto, a differenza dei suoi coriferi, sa che le ultime regionali sono andate bene per il centro-destra, ma malissimo per il Pdl. Più di due milioni di elettori hanno voltato le spalle al partito. Sono i voti degli astenuti che ora Fini spera legittimamente di recuperare, pensando pure di attingere qualcosa nel campo avverso, dove la linea del Pd, se esiste, appare ormai opposta a quella del suo elettorato. I sondaggi parlano chiaro: il Fini moderato nei toni, ma inflessibile sui principi (dalla giustizia, ai diritti civili) piace. Anche a sinistra. Per questo il Cavaliere si prepara ad ucciderlo (politicamente).

B. ha bisogno di una truppa compatta perché per lui le riforme sono la (nuova) ultima spiaggia. Solo cambiando la Costituzione potrà reintrodurre una qualche immunità che lo metta per sempre al riparo dalla sua grande ossessione: i processi. L’abbraccio con la Lega (disposta a tutto per il federalismo) si spiega in buona parte così. Ma con un Fini forte, nemmeno Bossi e il debole Pd basteranno più. Dunque il Cavaliere olia il fucile. Dice di essere in forma. Ma ha 74 anni. E forse, per fortuna di Fini e del Paese, la sua mira non è più quella di un tempo