22 settembre 2010

14 settembre 2010

COSÌ PRODI FU AFFONDATO

di Paola Zanca

“Io li inseguivo in tutte le parti d'Italia e del mondo. Li chiamavo al telefono per capire che intenzioni avessero. Insistevo. E ogni volta mi sentivo rispondere: ‘Veniamo, non ci sono problemi’. E poi non si faceva vedere nessuno”. Antonio Boccia per due anni ha fatto il pallottoliere del governo Prodi. Segretario d'aula al Senato, dal 2006 al 2008 passava le giornate a contare e ricontare i voti che tenevano in piedi la risicatissima maggioranza di centrosinistra.
E non sono solo numeri quelli con cui ha dovuto avere a che fare. Tra crisi di coscienza, litigate e spaccature, il rischio che i corteggiamenti del centrodestra affondassero come un coltello nel burro era una costante quotidiana. “Finché ci si prova è un conto. Ma poi se qualcuno ti si avvicina e chiede ‘Che ti serve?’, cambia tutto”. Ecco, quella domanda, nei lunghi mesi di agonia del governo Prodi se la sono sentita fare in molti. “E in tanti se la sentono fare anche oggi. Certo, ci sono colleghi che per quieto vivere non lo vanno a raccontare ai giornali”. MA PER CHI ogni giorno doveva governare i colleghi che avevano ceduto al corteggiamento – e che secondo uno degli arrestati nell’inchiesta P3, Arcangelo Martino, venivano convinti da profumate somme di denaro – le parole non servivano. I segnali li riconoscevi subito. Boccia ricorda che l'innamoramento per il centrodestra del senatore eletto all'estero Luigi Pallaro, per esempio, non aveva bisogno di spiegazioni. “Sin dall'inizio lui disse che era un ‘indipendente’ di centrosinistra. Ma ha sempre votato con noi, fino a quando non si sentì cominciare a parlare della cosiddetta ‘compravendita. Cominciò ad assentarsi in modo sempre più frequente, mi assicurava che avrebbe partecipato al voto e poi non partiva nemmeno dall'America. A volte era addirittura in Italia e non si faceva vedere. So per certo che almeno una volta in Sudamerica incontrò Berlusconi. Non penso parlassero di politica. Certo, non ci sono prove concrete dell’‘acquisto’, ma eravamo in una situazione di instabilità tale che i suoi comportamenti non erano giustificabili. Le nostre insistenze erano tali, che il fatto che non venisse a votare era chiaramente indicativo della volontà di lasciare la maggioranza”. E così fu: nemmeno quel 24 gennaio del 2008, quando Prodi chiese la fiducia al Senato, Pallaro era in aula. ALTRE VOLTE, che qualcosa era cambiato, lo capivi dai giochi d'astuzia. “I diniani erano tre – ricorda Boccia – Dini, Scalera e D'Amico. D'Amico è rimasto sempre coerente con il centrosinistra, gli altri due a un certo punto hanno cominciato con i comportamenti equivoci. Si astenevano, pur sapendo che al Senato l'astensione è un voto contrario. Ogni volta io li chiamavo. Loro dicevano “Veniamo, non ci sono problemi”. Soprattutto Scalera, faceva la parte del mediatore, ma poi alla fine seguiva la posizione di Dini. Si comportavano anche maliziosamente: arrivavano qualche minuto dopo che il voto era iniziato. Il loro era quasi un atteggiamento goliardico: la presa di distanza c'era nei fatti, ma nella sostanza non doveva apparire. Sui loro voti, non si poteva fare affidamento”. Decisamente no: tra i 161 no alla fiducia che portarono Prodi alle dimissioni, c'era anche quello di Lamberto Dini. Scalera si astenne. Martino, nell’interrogatorio, ha parlato anche di lui: Scalera sarebbe stato avvicinato dall’ex assessore campano Sica per conto di Berlusconi. E Dini nel 2008 ha ricevuto un versamento improvviso da un imprenditore amico dello stesso Sica. Ci sono i casi più noti, quelli dei senatori Sergio De Gregorio e Nino Randazzo. Il primo, eletto nelle liste dell'Idv, diventò presidente della commissione Difesa grazie ai voti del centrodestra e fondò il movimento Italiani nel Mondo. Finì indagato per corruzione dalla Procura di Napoli (che poi archiviò il caso), per un versamento da 700 mila euro da parte di Forza Italia. Il secondo ricevette la proposta indecente durante un pranzo a Palazzo Grazioli. Poi scrisse una lettera a Berlusconi per rispondere “no, grazie” al suo invito a passare nell'altra metà dell'emiciclo. Boccia ricorda anche i “casi di coscienza”, gli addii dal sapore tutto politico: Turigliatto, Fisichella (influenzato, dice l’ex segretario d'aula, “più dalla gerarchia ecclesiastica che da quella berlusconiana”), la Binetti, “una delle prime a non votare la fiducia al governo”. Non fu di stampo politico, ma al massimo “politichese”, sostiene Boccia, l'atteggiamento dei senatori Bordon e Manzione. “Cercavano un contraccambio politico, ma non posso dire che trattavano con il centrodestra: non ci furono episodi tali da far pensare che fossero caduti nella rete della compravendita”. Non crede alle ragioni dell'ortodossia, Boccia, nel caso di Ferdinando Rossi. “Il suo caso lo chiamerei 'contrattualistico': ogni volta che dava un voto ci voleva una contropartita. Cominciò ad astenersi, ad assumere posizioni equivoche. Noi avevamo qualche dubbio che il prezzo da pagare fosse sempre più alto solo per arrivare alla rottura. Il sospetto venne a tutti: ci faceva mettere al voto emendamenti talmente pretestuosi che sembrava andasse alla ricerca di una scusa per andarsene”. Interpellato, Rossi non si scandalizza: “Lo aveva già detto Bertinotti in una riunione dei parlamentari del Prc: ‘Attenti che Rossi se lo sono comprati’. Sono stato tanti anni nei partiti comunisti: il miglior metodo per demolire gli avversari è dire che sono agenti del nemico”. CERTO, la parola responsabilità, ricorda Boccia, a quell'epoca non si poteva nemmeno nominare. “Mussi e Salvi si erano portati via dieci senatori, poi era arrivata anche la rottura di Angius. In un clima di questo genere – ricorda Boccia – le vicende delle persone singole finivano per esaltarsi: se provavi a parlare con i Manzione, i Bordon, i Dini, quelli ti rispondevano: ‘Che andate cercando? Vi preoccupate se io faccio un po' di manfrina quando avete gruppi interi che vanno da soli?’. La verità – conclude Boccia – è che danno la colpa a Ma-stella e lui è stato solo l'ultimo ad andarsene. Certo, sia lui che Dini sono finiti nel centrodestra. Vuol dire che qualche discorso se l'erano fatto...”. 



http://idv-voghera.blogspot.com/2010/09/cosi-prodi-fu-affondato-cosi-prodi-fu.html



da il FATTO Q. del 14 sett