15 aprile 2008

La notte terribile della gauche italiana


«Cercate l’orso bruno "JJ3"», aveva ordinato l’altro ieri Alfonso Pecoraro Scanio. Ciò detto, spiegava un comunicato, il ministro dell’Ambiente aveva «aperto tavoli di confronto con alcuni Paesi dell’Arco alpino» chiedendo preoccupato dove fosse finito lo Yoghi sparito dal parco dell’Adamello. Da ieri, però, ha altri problemi per la testa: con l’orso è sparita la sinistra radicale. Comunista e verde. Almeno dal Parlamento. Non un rappresentante al Senato, non uno alla Camera. O almeno così pareva ormai certo mentre calava la notte più straziante, tormentata e insonne che la «gauche» italiana abbia mai vissuto. Una notte resa ancora più cupa, agli occhi dei protagonisti attoniti del mondo arcobaleno, dal trionfo di Silvio Berlusconi, dal dilagare della Lega e da quella rivendicazione del segretario del Carroccio Umberto Bossi che non ammetteva repliche: «La Lega l’hanno votata i lavoratori». Pausa. Rilancio: «I lavoratori non votano più la sinistra: è la Lega il partito nuovo dei lavoratori».
Hai voglia, adesso, ad alzare il sopracciglio ridacchiando. A fare spallucce. A buttarla sul ridere. Perché i dati che emergono questo dicono. Basta prendere la provincia di Vicenza. Provincia industriale. Metalmeccanica. Manifatturiera. Provincia bianca. Per decenni democristiana. Mariana e bisagliana, cioè fedele a Mariano Rumor e Toni Bisaglia. Obbediente a Monsignor Carlo Zinato, il vescovo che Camilla Cederna chiamava «La Wandissima» per come voleva essere sempre al centro di tutto. Bene: anche a quei tempi la sinistra aveva sempre tenuto in alcune roccaforti. Sempre. I dati di ieri sono nettissimi. E dovrebbero rappresentare per Fausto Bertinotti, che si insediò alla presidenza della Camera dedicando il suo trionfo «alle operaie e agli operai», una spina nel cuore. La Lega straccia la Sinistra Arcobaleno a Valdagno (Valdagno: dove quarant’anni fa i ribelli tirarono giù la statua di Gaetano Marzotto) 30 a 2,1%, la distrugge a Schio (la Schio della Lanerossi) 25 a 2,6%, la polverizza ad Arzignano (dove pure c’è un sindaco di centrosinistra) 37 a 1,5 e la annienta in due paesi storicamente strapieni di Cipputi come Chiampo (41 contro 0,9) e San Pietro Mussolino, dove una popolazione in larga parte composta da tute blu e dalle loro famiglie consegna al Senatur uno stratosferico 49,8 per cento e a quella che forse un po' presuntuosamente si era autodefinita «l’unica sinistra», un umiliante 0,6.
Certo, Bertinotti e Pecoraro e Diliberto, potrebbero cercare qua e là per l’Italia qualche motivo di incoraggiamento. Del resto la storia ci ha consegnato esempi formidabili di sconfitte disastrose spacciate per flessioni. Immortale, ad esempio, resta il caso del democristiano Vito Napoli che, sotto le macerie fumanti del crollo della Democrazia Cristiana nelle disastrose «comunali» del 1993 disse: «Abbiamo perso Roma, Milano, Napoli, Venezia, Palermo... Ma ci sono anche segnali incoraggianti. Penso ai successi di Gerace, Pizzo Calabro, Praia a mare...». Né si può dimenticare il buttiglioniano Maurizio Ronconi dopo una batosta generalizzata al Cdu: «Gli elettori riconsegnano Valfabbrica al Polo, nonostante la presenza di una lista di disturbo. E con Valfabbrica sono nostre anche Parrano e Attigliano... ». Mai, però, si era vista sparire così di colpo, come fosse stata inghiottita da un abisso, un’intera area. Basti dire che soltanto due anni fa Rifondazione Comunista aveva preso il 5,8 per cento, i Comunisti Italiani il 2,3, i Verdi il due abbondante. Per un totale del 10,2 per cento. Per non dire delle elezioni europee del 2004, quando insieme arrivarono a passare l’undici. Di più: non c’era discorso, dibattito, confronto in cui l’uno o l’altro, nella scia delle grandi adunate di piazza antiberlusconiane, non rivendicassero i sondaggi che li davano, tutti insieme, intorno al tredici per cento.
Solo una manciata di mesi fa, nella fase più dura di tensioni sulla Finanziaria dentro quella che allora era la maggioranza, Fabio Mussi minacciava: «Siamo una forza imponente, quindi se non si prestasse orecchio alle nostre proposte si farebbe un errore grave, molto grave». «L’8,7% ottenuto dalla sinistra unita in Germania sarebbe per voi una vittoria o una sconfitta?», chiesero qualche settimana fa al sub-comandante Fausto. E lui: «Siamo uomini di grande ambizione, mai porre limiti alla provvidenza rossa». Erano cinque, i partiti, partitini e micro-partitini, che si presentavano alle elezioni sventolando ancora (nonostante lo stesso Bertinotti avesse spiegato che dentro l'alleanza il comunismo sarebbe stato «una corrente culturale») la bandiera con la falce e il martello. E non uno è stato preso sul serio dagli elettori. E il risultato è una svolta inimmaginabile. Per la prima volta nella storia, dopo la fine della dittatura fascista, il Parlamento italiano non avrà tra i suoi banchi, dove anche la nascita della Costituzione venne salutata da un gruppo di camicie rosse, un solo «rosso». «E' una sconfitta netta dalle proporzioni nette e questo la rende più acuta», ha spiegato l’anziano leader annunciando che il suo ruolo «termina qui».

Neanche il tempo che le prospettive più fosche si concretizzassero e già a sinistra si aprivano come scontato le liti, gli sberleffi, gli insulti, i conati di veleno, i processi ai colpevoli. Certo, niente a che vedere con le purghe di un tempo, quando Antonio Roasio schedava i compagni rifugiatisi in Russia per scoprire se meritavano di farsi un giretto nel carcere Taganka o con la «kista », l'autocritica dei propri errori che veniva chiesta alla scuola quadri delle Frattocchie per fortificare lo spirito comunista. Ma il processo sarà lungo, tormentato, duro. Perché ha perso dappertutto, questa sinistra rancorosa e sognatrice, pacifista e bellicosa che in questi anni ha detto no alla Tav e no all’eolico, no alle missioni di pace e no alla riforma delle pensioni e no a tutto o quasi tutto. E si ritrova sgominata a Taranto (dove soltanto un anno fa aveva incredibilmente vinto le «comunali» dopo un crollo del 46% delle destre ieri risorte) e in tutta la Puglia che le aveva regalato il trionfo di Vendola, in Sicilia dove candidava Rita Borsellino, in Campania dove è finita sotto le macerie del bassolinismo a dispetto delle battaglie contro gli inceneritori e in Piemonte a dispetto dell'opposizione all'Alta Velocità in Val di Susa. E sullo sfondo, mentre loro malinconicamente ripiegano le bandiere, sorride il Cavaliere trionfante e sorride Gianfranco Fini e sorride soprattutto lui, Umberto Bossi. Tra operai in festa ai quali la sinistra non riesce più a parlare.

Gian Antonio Stella

15 aprile 2008

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