1 agosto 2008

Da voglioscendere.ilcannocchiale.it

Da Vanity Fair, 30 giugno 2008

Il delitto perfetto, quello che non ha colpevoli, non esisteva nel Paese dei Carpazi prima di quel lampeggiante lunedì 29 febbraio, anno ****, nottata di pioggia e fulmini sulla Capitale, quando un colpo di pistola risuonò nella Sala dei Pavoni. E un urlo si spense, scivolando via insieme col cadavere eccellente.

E’ morto il Presidente della Repubblica. Lo ha ucciso il presidente del Senato. Suonano allarmi e trombe. Accorrono i Corazzieri a cavallo, gli uomini della Scientifica, quelli dei Servizi segreti, un manipolo di magistrati. Arriva il Presidente della Camera. Arriva il Presidente del Consiglio. Infine (e in esclusiva) la Cnn dei Carpazi.

L’assassino è scosso. Siede, con una certa eleganza, sul sofà. Conversa. Ammette: “Non so cosa mi capitò. Giocavamo a zecchinetta. L’ira di un attimo, presumo. Son sconcertato”. Sorseggia Malvasia. Gli inquirenti lo guardano a distanza. Non può essere ammanettato: secondo il nuovissimo Lodo *** votato dalla Camera Federale per le quattro più alte cariche dello Stato, è immune da qualunque arresto. Ma a onor del vero la legge, che pure lo tutela, non basta a renderlo insensibile a quel sangue sui tappeti. Lo tormenta un capogiro. Lo infiacchisce il rimorso.

Siamo nel cuore del giallo senza giallo. Siamo nella bella città d’antica storia. Democrazia d’Occidente, perla d’Europa, distesa tra mutevoli alture dei Cinque Colli, bagnata dal Fiume, ingentilita dai gerani, carica di sogni telefonici che si dispiegano dentro conversazioni oniriche, dove passeggiano femmine con piccoli guinzagli e perizoma e strass. Celebri al pubblico come: “Le Mie Fanciulle”.

Il Presidente è morto. Era il piu’ alto delle alte cariche. Era il più tranquillo. Era il più elegante. Che si fa ora?

Nel Paese serpeggia scalpore. Bandiere scendono a mezz’asta. Il Presidente del Consiglio, che era il quarto alto delle quattro alte cariche e che adesso è il terzo alto delle tre alte cariche, si incarica del Messaggio alla Nazione. Un video con la calza dalla Villa. Un testo asciutto. Con la foto della salma in primo piano e un incipit del tipo: “Questo è il Presidente che amo”. All’indicativo presente. Che rende esplicito il legame. Commovente il dolore. Inevitabile l’eredità.

Giuristi studiano (intanto) le carte. La vittima è certa, non lo è il carnefice. Il fatto è accaduto, ma in una sua metà si è dissolto. Fumus aleggia. Il colpevole esiste, ma non è giudicabile. Tutti i reati provvede a cancellarglieli la legge. Per restituirglieli occorreranno dimissioni in grado di smontargli lo scudo di seconda alta carica. Perché finchè resta in carica, l’alta carica lo rende immune. Ha agito da solo. Senza disegni, senza movente. A guardar bene senza neppure cattiveria. Anzi si è già pentito. E pentendosi piange. E piangendo si libera. E liberandosi si apre a un cauto conversare: “D’ora in avanti vivrò nell’amarezza”.

Giustizialisti sospettano. Toghe avvelenano. Giovani girotondi fomentano. Li zittisce per tempo il Presidente del Consiglio che afferma che la legge è legge, va rispettata. Il Presidente del Senato è immune. Farlo dimettere non sarebbe garantista. E quindi resta innocente fino al terzo grado di giudizio al quale si arriverà dopo il giusto processo, la ricusazione dei giudici, il riesame della Consulta, il parere della Corte dell’Aia, il Patteggiamento allargato e l’ultimo appello al Tar dei Carpazi. Per il momento il processo non si fa, ci mancherebbe. Fino a quando? Lo decideranno le alte cariche e i loro pari, eletti dal popolo, non qualche impiegato statale che indossa una toga grazie a un discutibile concorso. Sarà un processo a porte chiuse contro ogni spettacolarizzazione. E sarà un processo giusto. Il Presidente del Consiglio lo giura sul suo onore (immune) e sulla testa dei suoi nove figli. Questione chiusa.

Di aperto resta il vuoto politico. Che in politica non esiste. Va riempito. Perché senza Presidente non si può stare. Il Lodo *** lo consente. La Nazione lo chiede. Le Camere Federali lo pretendono. Addirittura inneggiano all’ora finalmente giunta. S’apre per la quarta alta carica la via che conduce in vetta al vento della prima. Il Presidente del Consiglio diventa il Presidente della Repubblica. L’apoteosi di una vita, cominciata vendendo temi in classe e torri nella nebbia e notti da un drive-in elettronico

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