5 novembre 2008



GOMA – All’imbrunire, intorno alle 6 di sera, Goma, capitale del Nord Kivu, nel Congo orientale, diventa spettrale. Le strade si svuotano completamente. Non c’è un lampione a rischiararle e le sole luci vengono dai cinque o sei fetenti alberghi dove si rintanano i visitatori, giornalisti, funzionari delle Nazioni Unite e qualche businessman piombato qui come un avvoltoio a vendere probabilmente una partita d’armi. La città è devastata: in centro negozi con le porte di ferro letteralmente sventrate e gli interni devastati. Colpiti – come sarebbe immaginabile - non i negozi di generi alimentari, ma soprattutto quelli che vendono telefonini, gadget elettronici, biciclette e motorini. Segno che i soldati sbandati che hanno razziato la città, non erano poveracci affamati in cerca di cibo, ma rapinatori che hanno approfittato della mancanza di autorità per colpire. Ora l’abitato è stata ripreso in mano dai governativi ma resta circondato dalle truppe del generale ribelle Laurent Nkunda Batware.

Nonostante la tregua unilaterale dichiarata da Nkunda, ottanta chilometri più a nord, a Rutchru, ieri sono ripresi violenti i combattimenti. «Questo vuol dire altri sfollati in arrivo che si aggiungeranno ai 200 mila scappati negli ultimi giorni e ai due milioni che vagano da oltre dieci anni», protesta il doganiere che ieri ci ha accolto al posto di frontiera con il Ruanda a poche centinaia di metri dal centro di Goma. Gli uomini di Nkunda sono stati attaccati dalle milizie tribali filogovernative mai-mai. I loro guerrieri vengono addestrati tra un misto di magia nera, misticismo africano e fanatismo religioso. Prima di andare in battaglia si preparano con riti propiziatori; si spalmano il corpo con un unguento sacro che – secondo i loro capi – li rende immortali. Così le pallottole una volta che toccano il loro corpo si trasformeranno in acqua. Mai-mai significa acqua, appunto.

A subire le più gravi conseguenza della catastrofe umanitaria sono, come sempre, le donne e i bambini. La prime violentate, i secondi abbandonati e spesso recrutati con la forza dai belligeranti. “Ieri abbiamo rintracciato ben 37 ragazzini fuggiti da casa per entrare nelle file dei mai-mai – racconta Jaya Murthy che lavora all’Unicef, il fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia - . O forse non erano fuggiti, ma semplicemente separati dalle famiglia e sono caduti facilmente nelle grinfie delle milizie che gli lavano il cervello. Hanno tra gli otto e i dodici anni. Alcuni di loro erano già stati salvati in precedenza e sottratti alla guerra”. “Nell’ultima settimana – continua Murthy – più di centomila persone, e di queste 60 per cento bambini. hanno abbandonato le loro case. Si sono aggiunti ai 250 mila scappati negli ultimi due mesi. Vagano per il nord Kivu senza acqua potabile e senza cure mediche. E’ difficile localizzarli. Non sappiamo neppure dove siano. Sappiamo però che la loro condizione è disperata. Ci sono centinaia di bambini intrappolati. Separati dalle famiglie vagano senza meta ma soprattutto senza cibo e bevono l’acqua che trovano, sporca o inquinata. C’è il rischio che non facciano in tempo a imparare a sopravvivere in queste condizioni”. Le malattie sono in agguato le organizzazioni umanitarie temono che possa scoppiare da un momento all’altro un epidemia di morbillo, di colera o di malaria, patologie che anche senza l’emergenza falciano ogni hanno la vita di decine di migliaia di piccoli. “Ma temiamo un’altra cosa – conclude Murthy -. I bambini sfollati senza famiglia, affamati e disperati possono essere facilmente sfruttati, violentati o reclutati da gruppi armati. Quello che sta accadendo”.

In Congo l’anno scolastico era appena cominciato e in Kivu è stato bruscamente interrotto, esattamente come l’ottobre dell’anno scorso. Giulia Pigliucci, del Vis (Volontariato per lo Sviluppo), incalza: “Qui c’è una generazione di bambini che non hanno più sentimenti. Sono i figli del genocidio del 1994. A 14 anni molti di loro sono stati costretti ad andare in guerra. Come cresceranno? Se questi ragazzi avranno dei figli saranno capaci di dargli un cuore”. Giulia conferma anche il pericolo di epidemie. “Nel nostro centro sono stipati un migliaio di profughi e tra i ragazzini abbiamo una dozzina di casi di presunto colera”. Clio Van Cauter, che segue l’ufficio stampa di Medici Senza Frontiere a Goma, ammonisce: “E’ imperativo garantire la sicurezza della popolazione altrimenti continuerà a scappare e noi a cercarla. Occorre cibo, acqua pulita, medicinali, coperte, tende”. Poi continua: “Abbiamo potuto contare 69 casi di colera attorno a Goma e 20 a Kitchanga Vicino Rutshuru abbiamo registrato ogni giorno dai 5 ai 10 casi”. Sul piano militare sembra che la Monuc (la missione delle Nazioni Unite in Congo forte di 17 mila uomini di cui 6000 in Nord Kivu, la regione di Goma) non abbia ancora nessuna intenzione di intervenire. In un comunicato uno dei suoi comandanti, Alain Le Roy, in visita a Goma, ieri ha specificato che il mandato dei caschi blu e di proteggere i civili e sostenere la politica dell’esercito per disarmare le forze ribelli. “Non è nostro compito – ha concluso – difendere le città”. Una dichiarazione che ha lasciato sorpresi. “Come si difendono gli abitanti di una città se non si difende la città?”, si è chiesto sconsolato il doganiere che ha chiuso i suoi uffici dopo aver fatto passare i giornalisti, ultimi viandanti (la frontiera si passa a piedi) diretti a Goma”.

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